L’oscuro segreto dell’Everest: l’ultima e disperata lettera della “Bella addormentata” sul monte Everest e la inquietante storia che la riguarda hanno sorpreso tutti.

Ci sono luoghi sulla Terra che custodiscono segreti troppo grandi per essere compresi pienamente. Il monte Everest, la vetta più alta e temuta del pianeta, è uno di questi. Tra le sue tempeste di ghiaccio e i suoi venti assassini, giacciono non solo corpi congelati nel tempo, ma anche storie di coraggio, follia e mistero. Una delle più inquietanti e toccanti di tutte è quella della donna che gli alpinisti chiamano “La Bella Addormentata dell’Everest”.

Il suo vero nome era Francys Arsentiev, un’alpinista americana che nel 1998 raggiunse la cima dell’Everest senza ossigeno supplementare — un’impresa quasi sovrumana. Ma non fece mai ritorno. Fu ritrovata giorni dopo, immobile, abbracciata al ghiaccio, il volto sereno come se dormisse. Da allora, per oltre due decenni, il suo corpo è rimasto visibile lungo la via di salita, diventando un macabro simbolo della montagna e un monito silenzioso ai sognatori che osano sfidarla.

Eppure, quello che è emerso di recente ha riaperto ferite e scatenato l’immaginazione del mondo intero. Durante una spedizione di recupero organizzata nella primavera del 2025, un gruppo di sherpa nepalesi ha scoperto una piccola capsula metallica congelata accanto al corpo della donna. Al suo interno, protetto da strati di tessuto cerato, c’era un foglio scritto a mano: una lettera che, secondo le prime analisi, risale agli ultimi momenti di vita di Francys.

Le sue parole, tremolanti ma leggibili, raccontavano una storia che nessuno si aspettava.

“Se qualcuno trova questo messaggio,” scriveva, “non piangete per me. Non sono venuta qui per vincere, ma per capire. L’Everest non è una montagna — è un giudice. E io sono colpevole di qualcosa che ho nascosto per troppo tempo.”

Le ultime righe erano quasi indecifrabili, ma una frase spiccava tra le altre:

“Perdonami, Sergei… non dovevo farlo.”

Il nome “Sergei” si riferiva a suo marito, Sergei Arsentiev, che morì cercando di salvarla pochi giorni dopo. Ma cosa voleva dire con “non dovevo farlo”? Le ipotesi si moltiplicarono rapidamente: alcuni pensarono a un rimorso personale, altri a un segreto legato alla spedizione. Tuttavia, un’altra teoria — più oscura — prese piede quando uno degli sherpa, Tenzing Dorje, rivelò qualcosa di inquietante.

Secondo Dorje, la lettera non era l’unica cosa trovata vicino al corpo. Accanto alla capsula, c’era anche una piccola fotografia sbiadita, raffigurante una giovane donna sconosciuta con una collana d’argento. Sul retro, in inglese, si leggeva una sola frase: “I’m sorry for what we did.”

Chi era quella donna? E a cosa si riferiva Francys con quel misterioso “noi”?

Gli esperti di alpinismo e i giornalisti di cronaca nera si sono scatenati. Alcuni sostengono che la foto appartenesse a una spedizione non registrata degli anni ’90, un tentativo fallito di scalata che si concluse con la scomparsa di tre persone mai identificate ufficialmente. Secondo una teoria, Francys e Sergei avrebbero trovato qualcosa di terribile durante la loro salita — forse i resti di quella spedizione — e avrebbero deciso di tacere per non scatenare uno scandalo.

Un dettaglio ancora più inquietante emerse dai diari personali di Francys, pubblicati anni dopo dalla sorella: una pagina datata pochi giorni prima della sua ultima ascensione conteneva una frase criptica:

“Stanotte l’ho rivista nei miei sogni. Mi chiamava per nome. Diceva che la montagna non dimentica.”

Da allora, gli alpinisti che hanno passato quella stessa zona giurano di aver sentito una voce femminile nel vento, sussurrare parole indistinte, come un eco proveniente dal ghiaccio. Alcuni affermano persino di aver visto una figura vestita di rosso — lo stesso colore della tuta che Francys indossava quando morì — muoversi lentamente tra le rocce, solo per scomparire pochi istanti dopo.

Gli scienziati, naturalmente, parlano di illusioni dovute all’altitudine e alla mancanza di ossigeno. Ma per chi ha scalato l’Everest, il confine tra realtà e leggenda è spesso sottile come un filo di neve.

La lettera è ora custodita in un laboratorio a Kathmandu, sotto strette misure di sicurezza. Gli esperti stanno ancora analizzando l’inchiostro e la carta, ma non tutti credono che debba essere decifrata fino in fondo. Come ha detto un vecchio sherpa, durante una cerimonia in memoria degli alpinisti perduti:

“Alcuni segreti della montagna non vogliono essere svelati. Chi cerca di farlo, spesso non torna più indietro.”

E così, la “Bella Addormentata dell’Everest” continua a dormire tra le nuvole, ma la sua voce — e il suo mistero — non smettono di parlare.
Forse, in quella lettera congelata nel tempo, non c’è solo la storia di una donna.
C’è il segreto più oscuro dell’Everest stesso.

 
 
 

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