😱LA TERRIFICANTE VERITÀ dopo oltre 130 anni: il DNA di Jack lo Squartatore è stato finalmente svelato, e non è una cosa piacevole: il nome è scarabocchiato col sangue in ogni vicolo della Londra vittoriana.

Per più di un secolo, l’ombra di Jack lo Squartatore si è insinuata tra gli umidi vicoli di Whitechapel come uno spettro impossibile da domare. Il suo nome – o meglio, la sua assenza – ha alimentato intere biblioteche, teorie selvagge, studi di polizia e ossessioni storiografiche.

Ora, più di 130 anni dopo, una nuova analisi del DNA ha riaperto una questione vecchia quanto i lampioni a gas che illuminavano i bassifondi della Londra vittoriana: possiamo finalmente dare un nome al mostro?

La risposta, come sempre in questo caso, è più oscura e complessa di quanto sembri, intrisa di incertezze scientifiche e di narrazioni mediatiche che amplificano il mistero senza fornire certezze.

Tra l’agosto e il novembre del 1888, cinque donne – Mary Ann Nichols, Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddowes e Mary Jane Kelly – furono brutalmente assassinate a Whitechapel. La polizia metropolitana, sopraffatta e priva di moderni metodi forensi, non è stata in grado di catturare l’assassino.

La stampa clamorosa, dal canto suo, battezzò l’assassino con un nome che presto rimase impresso nell’immaginario collettivo: Jack lo Squartatore. Il mancato arresto e la crudeltà dei crimini alimentarono un’ondata di paranoia in tutta Londra, già segnata da profonde divisioni sociali.

La Londra vittoriana, divisa tra l’ostentata ricchezza del West End e la degradante povertà dell’East End, vide moltiplicarsi le voci. Medici, macellai, aristocratici, immigrati, poeti… tutti furono ad un certo punto indicati come sospettati. Nessuno sembrava al sicuro dai sospetti e dalle teorie più bizzarre.

Alla fine del XX secolo e all’inizio del XXI, i progressi scientifici hanno permesso di analizzare resti storici precedentemente considerati inutili. Tra questi spiccava uno scialle di seta attribuito a Catherine Eddowes, che alcuni collezionisti affermarono di aver recuperato dalla scena del crimine.

Diverse analisi del DNA hanno annunciato di aver individuato presunti profili genetici compatibili con donne dell’epoca e con uno specifico sospettato. Tuttavia, numerosi esperti ne hanno messo in dubbio la validità metodologica, evidenziando contaminazioni e tecniche non standardizzate.

Oggi, un nuovo studio – più rigoroso nella sua metodologia, ma ugualmente limitato dal degrado del materiale genetico – ha risvegliato ancora una volta la macchina dei media. Titoli clamorosi proclamano un nome come se fosse un verdetto definitivo, nonostante le cautele scientifiche.

Perché una società moderna, con oceani di crimini risolti e statistiche come montagne, continua ad essere ossessionata da questo enigma? Forse perché Jack lo Squartatore rappresenta più di un semplice assassino, incarnando il mistero e l’orrore urbano in una figura simbolica.

Rappresenta lo scontro tra scienza e mistero, tra progresso e miseria, tra controllo sociale e caos urbano. È uno specchio d’ombre dove ogni generazione proietta le proprie paure e le proprie ossessioni culturali, creando miti che superano la realtà dei fatti.

Chiudere il caso, dando un nome inequivocabile, sarebbe quasi una forma di esorcismo collettivo. Pertanto, ogni nuova traccia, non importa quanto tenue, viene accolta con entusiasmo quasi maniacale, alimentando curiosità e dibattiti senza fine.

La recente perizia genetica sostiene che uno dei sospettati storici presenta una corrispondenza rilevante con i resti analizzati. Tuttavia, il team stesso riconosce l’impossibilità di escludere contaminazioni o errori metodologici, dovuti alle condizioni di conservazione degli oggetti.

Nell’Ottocento non esistevano protocolli di conservazione; gli oggetti sono passati dalle mani della polizia a quelle private, esposti e manipolati senza precauzioni. In altre parole: il DNA trovato in un pezzo del XIX secolo può dirci molto… o non dirci nulla.

Eppure, la narrazione continua a funzionare. Il pubblico vuole un volto, un nome, un cattivo in carne e ossa. Vuole immaginarlo appostato nell’ombra, respirando la stessa aria delle vittime, lasciando tracce invisibili che la scienza moderna tenta di ricomporre.

Se questo nuovo episodio di scoperta ha rivelato qualcosa, è che la cosa più terrificante non è l’identità dell’assassino, ma come il mito ha eclissato la vera tragedia. Jack lo Squartatore è diventato figura quasi letteraria, trasformando i crimini in aneddoti storici.

Ma dietro quel soprannome si nascondevano donne vere, vite stroncate, intere comunità sottoposte a povertà estrema, razzismo, violenza strutturale e abbandono istituzionale. La vera eredità dello Squartatore è il ricordo che la disumanizzazione uccide e che l’oblio prolunga le ferite.

La scienza continuerà a cercare risposte per storici, poliziotti e appassionati. Probabilmente il mistero non sarà mai del tutto risolto. La nebbia di Whitechapel resta una metafora perfetta della storia: alcuni fatti rimangono nascosti non per mancanza di prove, ma perché il tempo stesso li inghiotte.

Il DNA può offrire frammenti di un volto, indizi su un’identità, alimentando nuovi dibattiti. Ma la verità assoluta – quella che appare incisa nel sangue dei vicoli londinesi -– potrebbe non essere mai quella dell’assassino, bensì quella del mito indistruttibile che abbiamo costruito attorno a lui.

E mentre gli studiosi continuano a esaminare vecchi reperti con tecniche sempre più sofisticate, il fascino oscuro di Jack lo Squartatore rimane intatto, alimentando libri, film, documentari e immaginazioni collettive senza fine.

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