L’atmosfera attorno all’Arthur Ashe Stadium era già densa di emozioni. La finale tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz era stata seguita da milioni di spettatori in tutto il mondo, e il giovane italiano, pur lottando con coraggio, non era riuscito a strappare la vittoria al suo rivale spagnolo. Ma nessuno poteva immaginare che il colpo di scena più grande sarebbe arrivato non dal campo, bensì dagli sponsor.

Esattamente dieci minuti dopo la sconfitta, mentre le telecamere ancora riprendevano i momenti di commozione sul volto di Sinner, Nike pubblicava un comunicato ufficiale: “Abbiamo deciso di interrompere la nostra collaborazione con Jannik Sinner, in seguito a una serie di valutazioni legate non solo al risultato sportivo, ma anche a questioni di immagine che riteniamo incompatibili con i valori del nostro marchio.” Una dichiarazione gelida, che cadde come un fulmine a ciel sereno, trasformando la delusione sportiva in un vero terremoto mediatico.

Il riferimento velato era chiaro: durante l’intervista post-partita, visibilmente emozionato, Sinner aveva parlato apertamente per la prima volta della sua relazione con la modella danese Laila Hasanovic. “Lei è stata la mia forza in questi mesi difficili”, aveva detto con voce rotta, mentre le telecamere indugiavano sul volto della ragazza, presente in tribuna e visibilmente commossa. Per molti, quel momento fu di grande umanità. Per Nike, invece, rappresentò un “cambio di narrativa” che non coincideva con le strategie commerciali pianificate attorno all’immagine del tennista italiano.

La reazione dei tifosi italiani non si fece attendere. Sui social, l’hashtag #VergognaNike divenne subito trending topic, con migliaia di messaggi che accusavano il marchio di aver abbandonato troppo in fretta un atleta che aveva dato tutto per lo sport e per l’Italia. “Sinner non è una macchina, è un ragazzo che porta sulle spalle la speranza di un Paese intero. Voltargli le spalle in questo momento significa non aver mai creduto davvero in lui”, scrisse un tifoso su X. Altri sottolineavano l’assurdità di collegare una sconfitta sportiva e una dichiarazione d’amore con la fine di un contratto milionario.
Anche la stampa internazionale si gettò sul caso. I principali giornali sportivi titolavano con toni polemici e ironici. “Doppia sconfitta per Sinner”, scrisse un quotidiano spagnolo. In Italia, invece, i titoli erano più duri: “Nike abbandona Sinner, ma l’Italia resta con lui”. Commentatori televisivi e opinionisti accusavano l’azienda americana di avere un atteggiamento cinico e opportunista, pronto a sfruttare le vittorie ma incapace di sostenere nei momenti difficili.
Ma la storia non si concluse lì. Poche ore dopo, Sinner convocò una breve conferenza stampa improvvisata all’hotel in cui alloggiava. Con tono fermo, ma con evidente emozione, disse: “Non sono mai stato un prodotto. Sono un atleta, ma prima di tutto sono una persona. Ho sempre dato tutto in campo, e continuerò a farlo. Chi vuole restare al mio fianco lo farà per quello che sono, non solo per i trofei che vinco.” Quelle parole, semplici ma potenti, scossero profondamente l’opinione pubblica.
Molti analisti sottolinearono come la scelta di Nike rischiasse di trasformarsi in un boomerang mediatico. Nel giro di poche ore, diversi brand italiani ed europei fecero trapelare interesse per una possibile collaborazione con Sinner, mentre la sua immagine pubblica usciva addirittura rafforzata dall’episodio. “Nike ha perso un atleta, Sinner ha guadagnato un popolo”, scrisse un giornalista italiano.
Laila Hasanovic, a sua volta, pubblicò un messaggio di sostegno sui suoi profili social: “Sono orgogliosa di te, Jannik. Non per quello che vinci o perdi, ma per la persona che sei.” Il post raccolse milioni di like e condivisioni, trasformando quella che era nata come una polemica in una vera e propria dichiarazione di unità e amore.
Intanto, in Italia, la vicenda accese anche un dibattito politico e culturale. Alcuni esponenti sottolinearono la necessità di “difendere i nostri talenti dai giochi di potere delle multinazionali straniere”, mentre altri evidenziavano come lo sport fosse ormai diventato un terreno sempre più intrecciato con logiche di marketing e immagine.
La finale degli US Open 2025, già di per sé storica, entrò così di diritto nella memoria collettiva non solo per il risultato sportivo, ma anche per lo scandalo che ne seguì. Jannik Sinner, da ragazzo riservato e timido, si ritrovò improvvisamente al centro di un caso globale, capace di mettere in discussione le relazioni tra sportivi e sponsor.
E se Nike pensava di chiudere un capitolo, la verità è che quel gesto aprì invece una nuova fase nella carriera e nell’immagine pubblica di Sinner: da promessa del tennis a simbolo di integrità e resilienza. Perché, come commentò un tifoso su un forum italiano, “puoi perdere un match, puoi perdere uno sponsor, ma non puoi perdere il cuore di chi crede davvero in te.”