Il doppio volto di Conte: dietro l’affondo contro Giorgia Meloni, l’ex Premier cela una strategia ancora più tagliente, studiata per dominare l’intera scacchiera politica, e ora quel disegno nascosto inizia finalmente a emergere dall’ombra.

Sembrava una semplice intervista televisiva, uno dei soliti duelli da prima serata, destinati a riempire qualche titolo e a scivolare via nel rumore di fondo della politica italiana.

Ma, come spesso accade quando Giuseppe Conte entra in scena, niente è come sembra.

La sua apparente gaffe da Floris, quel momento di gelo in cui invece di rispondere sulla maxi truffa del superbonus ha sparato un’accusa improvvisa e non verificata contro metà del governo, è stata salutata dai più come un disastro comunicativo.

ESM: Conte yêu cầu một bồi thẩm đoàn danh dự cho Meloni: bồi thẩm đoàn danh dự là gì và hoạt động như thế nào

Una caduta rovinosa.

Un leader preso alla sprovvista.

Eppure, se ci si ferma un attimo, se si osserva la scena con occhi meno ingenui, qualcosa non torna.

Quell’errore somiglia troppo a una mossa.

Troppo calcolata, troppo precisa nei tempi, troppo utile nei suoi effetti collaterali per essere davvero frutto del caso.

E allora nasce una domanda inevitabile: e se Conte non avesse sbagliato affatto?

E se ciò che tutti hanno letto come un inciampo fosse, al contrario, il primo tassello di una strategia molto più vasta, molto più spietata, costruita nel silenzio dei corridoi, dietro porte chiuse, in quelle stanze dove la politica non è più teatro ma geometria pura?

Perché mentre l’Italia rideva, commentava, criticava, la verità è che l’attenzione pubblica veniva deviata.

E nel mondo della comunicazione, deviare l’attenzione è un’arma.

Una delle più potenti.

Giuseppe Conte questo lo sa.

Lo ha sempre saputo.

E chi lo osserva da vicino, chi conosce i suoi movimenti, chi segue la sua crescita come figura politica, sa che dietro ogni frase apparentemente disordinata c’è quasi sempre un fine nascosto.

Un disegno.

Uno schema.

Uno schema che ora comincia a rivelarsi con una chiarezza inquietante.

La scena da Floris non è stata un episodio isolato: è stata la replica perfetta di un metodo che Conte applica da mesi, forse da anni.

La tecnica è semplice nella sua crudeltà.

Quando c’è un punto debole da nascondere, lui crea un terremoto.

Quando c’è una domanda scomoda, lui costruisce uno scandalo parallelo più rumoroso.

Quando c’è una falla politica che rischia di smascherarlo, lui sposta lo sguardo dell’opinione pubblica su qualcos’altro, qualcosa di più scandaloso, più aggressivo, più instabile.

È la strategia del caos.

E in questa strategia, Giorgia Meloni diventa il bersaglio più visibile.

L’avversario perfetto da colpire, da provocare, da utilizzare come detonatore costante.

Ma qui arriva la parte più sorprendente.

La più inquietante.

La più rivelatrice.

Il vero obiettivo di Giuseppe Conte non è Giorgia Meloni.

Non lo è mai stato.

Perché Meloni, paradossalmente, gli serve.

Serve alla sua narrazione.

Serve al suo ruolo di oppositore puro, radicale, incontaminato.

Serve come il nemico ideale per rafforzare il suo consenso presso gli elettori più arrabbiati, più delusi, più pronti ad abbracciare un leader che non fa compromessi.

Chi ragiona a livello superficiale vede un duello.

Chi guarda più in profondità vede una collaborazione involontaria.

Una di quelle simmetrie politiche tipiche della storia italiana, dove gli avversari pubblici si alimentano a vicenda.

Ma dietro Meloni, dietro questo teatro convenientemente pubblico, dietro questi attacchi che sembrano diretti alla destra, Conte mira altrove.

Sta mirando a sinistra.

E più precisamente sta mirando al Partito Democratico.

Ogni frase sparata in televisione, ogni accusa priva di fonti, ogni polemica costruita per far rumore sembra colpire Meloni, ma in realtà obbliga il PD a scegliere se seguirlo o rinnegarlo.

È una trappola senza uscita.

Se lo seguono, perdono la credibilità istituzionale.

Se lo smentiscono, rompono l’illusione dell’unità.

E in entrambi i casi Conte vince.

Il suo scopo non è unire.

Il suo scopo è dividere.

E non dividere gli avversari, ma dividere gli alleati.

Indebolirli.

Consumare il loro spazio politico fino a ridurlo a frammenti incapaci di competere con lui.

Perché il vero disegno di Conte è più grande di una semplice vittoria elettorale.

È il controllo totale del campo progressista.

Un’OPA ostile sulla leadership dell’opposizione.

Una presa di potere lenta, silenziosa, fatta di colpi di scena televisivi, accuse mirate, numeri urlati senza prove, sempre studiati per colpire il PD più ancora che il governo.

E più il PD si sforza di mostrarsi solido, razionale, moderato, più Conte sembra lavorare per renderlo vulnerabile, per farlo apparire debole, esitante, indeciso.

Nella sua narrativa, lui è l’unico che lotta davvero.

Gli altri sono comparse.

E come in ogni trama ben costruita, dietro ogni battuta c’è un secondo significato.

Quando Conte attacca Meloni sul superbonus, in realtà sta colpendo Letta, Schlein, i dirigenti del PD, gli elettori moderati che ancora credono nella competenza.

Quando Conte lancia numeri che non reggono alla verifica, non sta cercando di convincere l’Italia intera.

Sta parlando ai suoi.

A chi vuole sentirsi dire che lui è l’unico a osare.

A chi vuole un leader che “rompe gli schemi”, anche a costo di distruggere la fiducia nelle istituzioni.

Questa è la parte più inquietante del suo piano.

Il caos non è un incidente: è un metodo.

E un metodo così efficace da riscrivere gli equilibri dell’opposizione senza che nessuno se ne accorga fino a quando il danno non è irreversibile.

Perché mentre Meloni governa, Conte costruisce.

Costruisce nella penombra.

Costruisce nel malcontento.

Costruisce nella tensione continua che lui stesso alimenta.

E più la sinistra tenta di ricompattarsi, più lui la disarticola con piccoli colpi chirurgici che a prima vista sembrano buffi errori comunicativi.

Ma non lo sono.

Sono pugnalate.

Piccole, rapide, quasi invisibili.

E tutte dirette verso lo stesso bersaglio.

Per molti osservatori, Conte sembra un leader che non riesce a crescere.

In realtà è un leader che sta crescendo dove nessuno sta guardando.

Sta costruendo una base compatta, arrabbiata, fidelizzata, pronta a seguirlo ovunque.

Una base che non chiede numeri, non chiede prove, non chiede coerenza.

Chiede un nemico.

E Conte gliene dà uno nuovo ogni settimana.

Ma soprattutto gliene dà uno interno: il PD.

Chi immagina che Conte punti davvero a governare con una coalizione progressista non ha capito il gioco.

Il suo obiettivo non è il 2027.

Il suo obiettivo è ciò che viene dopo.

E per arrivarci deve essere l’unico leader riconosciuto dell’opposizione.

Non uno dei tanti.

L’unico.

Meloni può restare dove sta ancora per anni: a Conte non dispiace.

Anzi, lo agevola.

Perché più dura la destra, più lui accumula consenso giocando il ruolo dell’anti-sistema.

E più il PD si logora, più il suo progetto avanza.

Il superbonus, in questo scenario, è soltanto un detonatore.

Una miccia.

Un’arma di distrazione di massa che devierà l’attenzione ogni volta che servirà.

Ma dietro quella miccia c’è un intero arsenale.

Un arsenale politico costruito negli anni, con mosse mai casuali, con scelte che solo oggi cominciano a mostrare la loro vera forma.

La forma di un piano.

Un piano a doppia faccia.

Una faccia rivolta contro Meloni.

L’altra rivolta contro la sinistra.

E al centro, immobile, lucido, calcolatore, c’è Giuseppe Conte.

La sua strategia non è stata capita perché tutti guardavano il bersaglio sbagliato.

Ora, però, quel disegno oscuro si sta rivelando.

E quando tutti lo vedranno, potrebbe essere già troppo tardi per fermarlo.

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