C’è un momento, nel teatro della politica, in cui una singola frase può squarciare il velo della normalità e ridefinire alleanze, equilibri e narrazioni. Quel momento è arrivato, in una giornata apparentemente ordinaria, nello studio televisivo de “L’aria che tira” su La7. L’ospite è di quelli che non passano inosservati: Gianfranco Fini, l’ex Presidente della Camera, l’ex leader indiscusso della destra post-missina, l’uomo della rottura e del “che fai, mi cacci?”. Il conduttore, David Parenzo, fiuta l’occasione. L’argomento è una foto, quasi innocua, di Giorgia Meloni con Donald Trump. L’aspettativa è chiara: un attacco, una critica, forse una nota di biasimo dall’uomo che per anni ha incarnato una visione alternativa, e infine conflittuale, della destra.
E invece, accade l’imprevedibile. Con il volto sereno e un tono di voce fermo, quasi paterno, Fini spiazza tutti. Gela lo studio. “Io Giorgia Meloni la stimo”.
Non è una frase di circostanza. È una bomba atomica politica. In un istante, l’architetto della destra moderna, l’uomo che ha cercato di sdoganarla e che da quella stessa destra è stato infine ripudiato, compie un gesto che ha il sapore di un passaggio di consegne non richiesto, di una legittimazione che imbarazza più che onorare.
Fini non si limita a una parola, ma articola un pensiero preciso. Loda le sue doti diplomatiche, la sua empatia, la sua padronanza delle lingue che, sottolinea, gli ricorda se stesso. “La Meloni non ha bisogno di interpreti”, dice, “parla direttamente con i grandi del mondo e questo cambia tutto”. È un endorsement totale, che suona quasi come una rivendicazione: colei che oggi incarna la destra di governo con un successo che lui non ha mai potuto consolidare, è, in fondo, una sua erede.
Ma se Fini ha lanciato un ponte, il resto del centrodestra si è affrettato a minarlo. La reazione all’elogio non è stata di giubilo. È stata, al contrario, un’onda gelida che si è propagata da Palazzo Chigi ai corridoi di Fratelli d’Italia, fino agli uffici di Lega e Forza Italia.

La prima a ritrovarsi nel mezzo della tempesta è proprio la diretta interessata, Giorgia Meloni. Da Palazzo Chigi trapela un silenzio assordante. Nessun commento ufficiale. L’unico segnale, quasi impercettibile, arriva durante un punto stampa: interpellata sull’argomento, la Premier abbozza un sorriso quasi infastidito, evita la polemica e cambia rapidamente argomento. Una mossa diplomatica che tradisce un enorme imbarazzo. Accettare quell’elogio significherebbe accogliere il “fantasma” di Fini nella nuova narrazione della destra meloniana; rifiutarlo sarebbe sgarbato e politicamente rischioso. Fonti vicine parlano di una Premier in “profonda riflessione” su come gestire pubblicamente una patata bollente che non aveva chiesto.
Se Meloni tace, i suoi alleati urlano. Matteo Salvini, intercettato dai cronisti, non usa mezzi termini e affonda il colpo con il sarcasmo che lo contraddistingue: “Gianfranco Fini? Pensavo si occupasse di altro, tipo presentare libri di geopolitica”. Una battuta al vetriolo che serve a marcare una distanza siderale, a ricordare che la Lega non ha nulla a che fare con quel passato finiano.
Non meno gelido Antonio Tajani. Il leader di Forza Italia, con la sua consueta diplomazia, si limita a dire che “ognuno ha il diritto di esprimere opinioni”, ma aggiunge subito una precisazione che suona come una condanna: “la coerenza nel tempo è ciò che distingue un vero leader”. Un riferimento neanche troppo velato alla rottura di Fini con Berlusconi nel 2009.

Ma è all’interno di Fratelli d’Italia che l’elogio di Fini ha scatenato la reazione più violenta. Il “malumore” serpeggia tra i militanti storici, quelli che non hanno dimenticato. Le chat interne del partito esplodono. Una fonte anonima rivela di una riunione d’urgenza nel quartier generale del partito per capire la portata della mossa di Fini. “È un colpo basso”, avrebbe commentato un giovane deputato. “Non possiamo accettare lezioni da chi ha contribuito alla nostra sconfitta più dolorosa”.
Le parole più dure, però, arrivano da due figure chiave. Ignazio La Russa, co-fondatore del partito, interpellato da un cronista sbotta: “Fini ha avuto tutte le occasioni per costruire. Se oggi si accorge che Meloni è brava, ne prendiamo atto. Ma noi non dimentichiamo”. Un avvertimento che suona come un ultimatum: l’ex leader non è il benvenuto nella nuova narrazione. A rincarare la dose, l’altrettanto sarcastica Daniela Santanchè: “Ora Fini fa il talent scout. Ci mancava solo questo”.
Il gesto di Fini ha costretto l’intero centrodestra a un esame di coscienza. Ha riaperto vecchie ferite e messo Giorgia Meloni in una posizione scomoda. Da un lato, l’elogio di un padre nobile (ripudiato) della destra potrebbe allargare il suo consenso verso aree più moderate; dall’altro, la reazione furiosa della sua stessa base e dei suoi alleati dimostra quanto quel passato sia ancora radioattivo.
Mentre sui social gli elettori si dividono tra chi plaude al gesto distensivo e chi grida al tradimento, la domanda che tutti si pongono è una sola: è stato un gesto sincero o una mossa calcolata? Fini sta cercando una riabilitazione politica, agganciandosi al successo della Premier, o sta semplicemente cercando di rientrare nel dibattito pubblico?
Qualunque sia la risposta, una cosa è certa: la tempesta è appena iniziata. Giorgia Meloni dovrà navigare a vista, cercando di tenere unita una coalizione che scricchiola ogni volta che il passato torna a bussare. E il passato, incarnato da Gianfranco Fini, ha appena dimostrato di essere tutt’altro che sparito. Ha scelto il momento perfetto per tornare, e ora osserva, da lontano, l’incendio che ha appiccato.